Bottega errante pubblica due testi dell’intellettuale udinese curati da Angelo Floramo.
La presentazione domani alla Joppi.
Nei luoghi misteriosi del Torre e del Tagliamento
di PAOLO MEDEOSSI (link all’articolo)
Strane le vie della letteratura: ci sono parole che appaiono già vecchie, inutili e consunte nel momento in cui appaiono e parole che invece ringiovaniscono più passa il tempo sapendo cogliere e spiegare quanto accade con una agilità e freschezza di ragionamento sorprendenti. A questo secondo genere appartengono i testi di Tito Maniacco, le cui opere sempre più rappresentano una luce in grado di suggerire un’idea, un concetto, un pensiero mentre attorno a noi la coltre di buio si infittisce. Piccolo esempio, citando un suo articolo del 1998: «Il silenzio delle classi dirigenti friulane non è il saggio silenzio di chi osserva il mondo e medita, ma è il silenzio di un’assenza, di un vuoto. Certo c’è chi comanda e decide, c’è chi produce e chi lavora, ma non c’è nessuno che ragioni sulle ragioni del mondo e sul rapporto che una ristretta comunità ha con esso». E poi Tito muoveva una critica precisa a chi guidava il gioco dalle nostre parti: «Non si dirige senza idee. Al massimo si può andare avanti con un continuo tran tran fra burocrati. Ma la storia della modernità ci insegna che una comunità privata di progetto collettivo (di rappresentazioni mitiche adatte a suscitare l’azione) è ingovernabile. Come un insonne, che questa infermità priva dei suoi sogni, essa perde il senso del reale».
Bastano queste poche parole ad accendere in noi il sincero rimpianto, la nostalgia e anche la necessità di ritrovare un filo logico al quale affidarsi per capire qualcosa del momento in cui siamo immersi, mentre sale un frastuono impreciso e confuso. Tornare ai libri di Maniacco (i romanzi, i saggi storici, la poesia, le critiche d’arte, gli articoli giornalistici) significa allora recuperare una capacità che si è andata inesorabilmente perdendo ovunque, Friuli compreso: quella di saper leggere e interpretare la storia e gli sviluppi contemporanei come fatti conseguenti, osservandoli anche attraverso i canoni ideologici, con onestà, coerenza e disinteresse. In questo lavoro intellettuale Tito è stato per Udine e il Friuli un maestro, un caso unico vestendo i panni dello scrittore, di convinzioni marxiste, che in maniera solitaria sovvertiva l’impostazione tradizionale e clericale, per fornire nuove chiavi di lettura, come accadde un quarantina di anni fa con il magnifico e pedagogico ciclo de “I senzastoria”, nati dalla collaborazione con Ferruccio Montanari. Fu un evento inatteso, originale, che lasciò il segno, come avvenne con un’altra opera, forse meno clamorosa, ma ugualmente profonda, dedicata negli anni Novanta a una rilettura critica dell’immaginario collettivo, condensata nella folgorante intuizione che rappresenta un’eredità sulla quale riflettere se si ha passione e cuore. Questa: «Insomma, i friulani sono vissuti e vivono (non è un fatto particolare, ma generale) avvolti nel sogno continuo di essere quelli che in realtà non sono mai stati e non sono…». Frase che sovverte tutto ancora una volta, compresi i luoghi comuni, sui quali si costruisce spesso una vulnerabilità più che un’autentica forza.
Se questo, detto in veloce sintesi, è il senso di quanto Maniacco ci ha lasciato, da quel 22 gennaio 2010, è comprensibile allora che la riscoperta di suoi inediti diventa un’occasione preziosa, non solo per omaggiare lo scrittore che non c’è più, quanto per arricchire una stagione culturale che ha necessità, come dell’aria che si respira, di doni inattesi e utilissimi. Proprio per tali motivi la casa editrice Bottega Errante ha pubblicato “La zona di confine” (178 pagine, 15 euro), che riunisce due racconti lunghi, “La figlia del re degli elfi” e “Non si sa”, in un volume a cura di Angelo Floramo inserito nei classici, inaugurati un anno fa da un’opera dedicata a Elio Bartolini. La collana è coordinata da Paolo Patui e Mauro Daltin i quali, assieme a Floramo, presenteranno il libro (in collaborazione con AdAstra, letture di Carlotta Del Bianco) domani, alle 18, nella biblioteca Joppi.
Protagonisti nei racconti di Tito sono due pittori che si interrogano (tema da lui amatissimo) sul senso ultimo del creare, per individuare l’origine e la sorgente di un’ispirazione che li consuma, esplorando così i territori dell’arte, musica e scrittura incluse. La ricerca avviene nei misteriosi luoghi percorsi dal Torre e dal respiro ribelle del Tagliamento, un’area ibrida per lingue e paesaggi. A segnare le umane esperienze sono alla fine i limiti, le zone di confine, di cui (afferma Floramo) Maniacco analizza i risvolti più arcani grazie a una vena narrativa che ha il sapore del racconto filosofico, trasmettendo il senso di una sorpresa e di un’estraneità in virtù dell’affabulazione che l’attraversa. Leggendo queste pagine si entra in punta di piedi nel mondo di Tito, mondo complesso, inquieto, magico, che infine schiude squarci e panorami unici come succede procedendo su sentieri di montagna all’inizio faticosi. «Vi sono nella vita – dice a un certo punto – dei miraggi che stanno alla finestra, o appesi lungo il casuale film dei sogni. Naturalmente è importante che esistano, non che diventino realtà. Probabilmente, nella maggior parte dei casi, l’esaudimento del desiderio può trasformarsi in una banalissima materializzazione dei luoghi comuni…». Questo era Tito, un po’ come quella farfalla notturna (dal titolo di una sua raccolta poetica con citazione di Marx) che, quando il sole di tutti è tramontato, cerca la luce nella lampada del privato, nel cuore delle figure.